Società in crisi per una cattiva gestione: no alla proposta centrata sulla prosecuzione dell’attività
I giudici sottolineano che la società non ha mai corretto la propria gestione, pur essendosi rivelata inadeguata sin dalle origini
Inammissibile la proposta di concordato minore in continuità aziendale formulata da una società che si occupa prevalentemente di trasporto per conto terzi e che ha maturato debiti soprattutto verso l’Erario (agenzie fiscali, enti locali, INPS, INAIL) e che, soprattutto, non ha mai corretto la propria gestione, pur essendosi rivelata inadeguata sin dalle origini. Decisiva per i giudici (ordinanza del 27 dicembre 2024 del Tribunale di Ferrara) è la valutazione del comportamento tenuto dalla realtà aziendale indebitata. Nello specifico, viene sottolineato che la società ha iniziato a non pagare le imposte e i contributi sin dall’inizio della propria attività e ciò a causa della assenza di redditualità, in sostanza finanziando la prosecuzione della attività di impresa stessa a mezzo del mancato pagamento delle imposte. Tale situazione, essendo la attività di impresa per sua natura attività di rischio, avrebbe dovuto assolutamente imporre, osservano i giudici, un ripensamento della strategia aziendale o addirittura consigliare la cessazione della impresa. Per contro, la società ha scelto di continuare ad operare, aggravando il proprio dissesto, dimostrando una totale carenza di diligenza nella gestione dell’impresa. Eppure, in maniera del tutto irragionevole, sia la società che il gestore attribuiscono la incapacità di pagare i debiti non già alla condotta iniziale del mancato pagamento delle imposte e dei contributi ma alla circostanza che, del tutto prevedibilmente, il debito fiscale non pagato tempestivamente si è quasi raddoppiato, per effetto di sanzioni ed interessi. Ebbene, tale circostanza è la conseguenza di una scelta dei debitori – cioè di non pagare o rateizzare tempestivamente il loro debito – e non già frutto di un evento imprevisto ed imprevedibile. Tale essendo il quadro, non rassicurante, circa la condotta pregressa della società e dei suoi soci, va rilevato, spiegano i giudici, che il piano proposto è di continuità pura, e affida la promessa di soddisfazione falcidiata dei creditori concorsuali ai margini di utile che dalla attività si spera e si preventiva di ricavare nei cinque anni successivi alla omologa. Invece, non è previsto alcun ridimensionamento dei costi né ristrutturazione della attività. Di conseguenza, in assenza di alcuna previsione di piano, e di alcuna indagine o affermazione del gestore sul punto, si deve ritenere che la attività di impresa che dovrebbe consentire il ripianamento dei debiti, abbondantemente falcidiati, sia quella medesima che ha condotto alla situazione di sovraindebitamento. E neppure è presente una analisi dettagliata dei costi, e segnatamente degli oneri fiscali, che prospetticamente verranno maturati nel corso di ben cinque anni di attività. Ampliando l’orizzonte, poi, i giudici rammentano che la sostenibilità del piano ovvero la sua fattibilità sono oggetto della attestazione del gestore, che, sul punto, ha la duplice funzione di sostituire il giudizio del Tribunale sulla fattibilità economica del piano e di fornire un sopporto informativo completo ai creditori ai fini della espressione del voto. Ebbene, la lettura della relazione del gestore è chiara: l’aspetto della ridondanza della condotta della società nella formazione del debito sulla affidabilità del comportamento futuro promesso non è stato in alcun modo indagato. E, aggiungono i giudici, va ricordato, per quanto pleonastico, che la continuazione dell’attività di impresa genera ulteriori debiti, anche e non solo di natura erariale, che, non soggetti ad alcuna falcidia, debbono essere pagati per intero ed alla scadenza, non essendovi, nel caso concreto, motivo di ritenere che, non essendo accaduto per il passato, ciò possa accadere per il futuro. Peraltro, non sono stati indagati, osservano i giudici, i rischi connessi alla attività di impresa che, senza che sia stata prevista alcuna ristrutturazione dei costi, dovrebbe essere esercitata per un arco di tempo di cinque anni in cui svariati eventi imprevedibili possono verificarsi: basti pensare a quanto accaduto dal 2020 sino ad oggi e del tutto non prevedibile, ovvero all’evento pandemico ed agli eventi bellici internazionali aventi ricadute sul piano energetico ed in generale industriale e commerciale. In nessun modo, infine, il gestore ha affrontato la questione della verosimiglianza di un piano in cui la soddisfazione dei creditori, falcidiata all’8,40 per cento per quanto riguarda i chirografari, è affidata, oltre che a modeste risorse esterne la cui provvista appare dubbia, alla continuazione di quella stessa attività di impresa che ha portato alla insolvenza.