Ex marito in difficoltà: niente spazio, comunque, nella casa assegnata all’ex moglie
Nessun provvedimento di assegnazione di porzioni di casa familiare, ovvero di altre unità immobiliari che non costituiscono habitat dei figli, può rendersi in favore del genitore non convivente con la prole

Genitori divorziati: niente spazi per l’ex coniuge, in difficoltà abitativa, nella casa coniugale assegnata all’altro coniuge convivente con la prole.
Questo il paletto fissato dai giudici (ordinanza numero 12249 del 9 maggio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto tra una moglie e un marito a seguito del divorzio.
Chiuso ufficialmente il rapporto matrimoniale tra lei e lui, i giudici sanciscono l’obbligo dell’uomo di contribuire al mantenimento dell’unica figlia che ancora convive con la madre, essendo maggiorenne ma non autosufficiente dal punto di vista economico, e, soprattutto, assegnano alla donna – che intanto si è risposata – l’originaria casa utilizzata dalla coppia durante la vita coniugale. Su quest’ultimo punto è decisivo il riferimento alle esigenze della ragazza che, come detto, convive ancora con la madre.
In Appello, tuttavia, l’uomo ottiene una modifica importante delle condizioni del divorzio, ossia la possibilità di avere a propria disposizione il primo piano della casa coniugale assegnata interamente in origine all’ex moglie.
Per i giudici di secondo grado, non vi sono le condizioni per revocare l’assegnazione della casa familiare alla donna, dal momento che la figlia è ancora non autonoma economicamente, ma, allo stesso tempo, la suddivisione, in due diverse unità abitative, dell’immobile adibito a residenza familiare appare condivisibile, nonché atta a tutelare le esigenze della figlia dei due ex coniugi, specie ove si consideri che l’originario nucleo familiare è numericamente ridotto.
Questa decisione viene ‘censurata’ in Cassazione, poiché in Appello non si è adeguatamente messo in evidenza quale sarebbe il fatto nuovo che giustifica la revisione delle condizioni di divorzio, dal momento che è pacifico che la figlia non ha ancora raggiunto l’autosufficienza economica e che il successivo matrimonio della madre non ha comportato l’abbandono del domicilio domestico né comportato il venir meno dei presupposti per la assegnazione della casa coniugale alla donna, presupposti legati pur sempre alla valutazione del miglior interesse della figlia.
Certo, l’originario nucleo familiare è numericamente ridotto – le altre due figlie della coppia hanno raggiunto l’autonomia economica –ma questo fatto non è stato analizzato in relazione alla incidenza che avrebbe sulla posizione della figlia, il cui diritto al mantenimento dell’habitat domestico è ancora da tutelare, in ragione del mancato conseguimento della indipendenza. Peraltro, i giudici d’Appello si limitano ad affermare in maniera dogmatica, osservano i magistrati di Cassazione, che la assegnazione parziale è confacente agli interessi della figlia della coppia, senza però tenere conto di quanto concordato ab origine dai coniugi.
Per evidenziare ancor di più l’errore commesso in Appello, i giudici di terzo grado partono da un punto fermo: la casa familiare può essere assegnata soltanto se diretta a conservare l’habitat domestico del figlio minorenne o maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente. Difatti, la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, mentre «è estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico.
Tuttavia, in casi particolari e a determinate condizioni, si può disporre una assegnazione parziale, individuando come habitat domestico solo una porzione (o una unità) di un più ampio immobile che ecceda per estensione le esigenze della famiglia, riconoscono i magistrati di Cassazione, e quindi è possibile limitare l’assegnazione della casa familiare ad una porzione dell’immobile, di proprietà esclusiva del genitore non collocatario, anche nell’ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell’intero fabbricato, ove tale soluzione, esperibile in relazione del lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell’habitat domestico dei figli minori.
Tirando le somme, in tema di assegnazione della casa familiare, anche qualora il giudice decida, previa valutazione del miglior interesse dei figli, di assegnarne solo una porzione (o una singola unità abitativa), la restante porzione della casa familiare, cioè quella non assegnata, resta regolata dal titolo di proprietà o da eventuali diritti reali o di godimento su di essa, e non dal provvedimento del giudice del divorzio, che può incidere sui diritti dominicali solo in quanto vi sia un interesse del figlio minore o maggiorenne non economicamente autosufficiente da tutelare». Perciò, nessun provvedimento di assegnazione di porzioni di casa familiare, ovvero di altre unità immobiliari che non costituiscono habitat dei figli, può rendersi in favore del genitore non convivente con la prole, restando estranea ogni valutazione relativa alla ponderazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori.
Applicando tale prospettiva alla vicenda presa in esame, è lampante, secondo i magistrati di Cassazione, l’errore compiuto in Appello e consistito nell’assegnare una parte dell’immobile (il primo piano) all’uomo, genitore non convivente con la prole, in considerazione delle sue esigenze abitative, riducendo così l’habitat domestico della figlia, senza alcun motivo collegato all’interesse diretto della ragazza.