Legittimo estromettere il dipendente che sottrae materiale di risulta
Fondamentale, però, che il lavoratore sia consapevole del divieto di asporto e che i beni sottratti conservino utilità ed un intrinseco valore economico e utilità

Legittimo il licenziamento se il lavoratore sottrae materiale di risulta che però conserva ancora un intrinseco valore economico. Questa la decisione dei giudici (ordinanza numero 31313 del 6 dicembre 2024 della Cassazione), i quali hanno anche fissato il principio secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, l’appropriazione, da parte di un dipendente, di materiali conferiti presso un ‘Centro di raccolta rifiuti’ e di modesto valore economico, costituisce condotta di estrema gravità, idonea a compromettere il rapporto fiduciario col datore di lavoro. Fondamentale, però, che il lavoratore sia consapevole del divieto di asporto e che i materiali sottratti conservino utilità ed un intrinseco valore economico e utilità.
Analizzando i dettagli della specifica vicenda, il fatto materiale addebitato al lavoratore (cioè asportazione abusiva di materiale conferito in un ‘Centro di raccola rifiuti’, in contrasto con le normative di legge ed interne) è lo stesso di quello posto a fondamento del provvedimento espulsivo, costituendo i richiami alle modalità di smaltimento e rifiuto, alla violazione del divieto espresso affisso presso ogni ‘Centro ecologico’ e al danno patito dall’azienda perché il materiale avrebbe potuto essere venduto con apposita asta, solo specificazioni delle normative di legge ed interne sulla gestione dei rifiuti, richiamate nella contestazione disciplinare.
Nello specifico, l’azienda ha intimato al dipendente licenziamento disciplinare per i fatti avvenuti nel luglio del 2019, allorquando i carabinieri, nei pressi della sede della società, fermata l’automobile del lavoratore per un controllo, ebbero modo di rivenire all’interno della vettura materiale elettrico e metallico (circa 50 metri di cavo di rame guaina nera; circa 50 metri di cavo di rame guaina bianca; circa 50 chilogrammi di metalli vari), presumibilmente asportati dalla società che gestiva il ‘Centro comunale di raccolta dei rifiuti’.
Ad inchiodare il lavoratore sono, secondo i giudici, la mancanza di buonafede, da parte del lavoratore, ed il conservato valore economico della cospicua entità del materiale abusivamente prelevato. Questi due dettagli hanno reso il fatto di estrema gravità e certamente idoneo a compromettere la fiducia del datore di lavoro nella affidabilità del dipendente, tenuto conto, peraltro, dello speciale titolo professionale a lui riconosciuto come ispettore ambientale.