Estromessa la docente in prova che si relazione male con colleghi e studenti

Confermato dai giudici di Cassazione il provvedimento adottato dall’istituto scolastico

Estromessa la docente in prova che si relazione male con colleghi e studenti

Prova non superata per la docente che si relaziona male con colleghi e studenti. Questa la decisione dei giudici (ordinanza numero 32556 del 13 dicembre 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura del contenzioso sorto in un istituto in Emilia Romagna, confermano in via definitiva il provvedimento adottato da un dirigente scolastico e ritengono legittimo togliere la cattedra alla maestra che durante il periodo di prova mostra grosse difficoltà a rapportarsi con i colleghi, gli alunni e i genitori.
Scenario della vicenda è un istituto comprensivo statale in provincia di Cesena. A dare il ‘la’ alla querelle giudiziaria è il provvedimento emesso nell’agosto del 2019 dal dirigente scolastico, provvedimento con cui viene sancita la risoluzione, per mancato superamento della prova, del rapporto di lavoro di una insegnante.
Inevitabile la reazione della docente estromessa, reazione che mira a provare la illegittimità della decisione del dirigente scolastico.
Per i giudici di merito, però, la risoluzione del rapporto di lavoro va considerata logica, poiché

centrata sui dati forniti dalle relazioni ispettive del dirigente scolastico, dalla relazione del

dirigente tecnico e dalla relazione del docente tutor. A fronte di tali documenti, si è potuto tracciare un quadro il più possibile esaustivo del percorso della docente in prova. E, annotano i giudici d’Appello, il mancato superamento della prova è stato frutto anche delle difficoltà nei rapporti coi colleghi e coi genitori. Vi è poi il riferimento a superficialità nello svolgimento dell’attività e scarso coinvolgimento degli studenti durante l’ora; disordine generatosi nel corso della lezione; utilizzo di toni e lessico del tutto inadeguati; uso di appellativi inappropriati nei confronti dei bambini; più in generale, perduranza di notevoli difficoltà relazionali con gli alunni.
Per chiudere il cerchio, viene richiamato il contenuto della relazione depositata dal docente tutor, relazione secondo cui la docente in prova non ha dimostrato costanza nel relazionarsi positivamente con i genitori degli alunni, mostrandosi inidonea a gestire con lucidità le loro rimostranze e si è resa responsabile dell’utilizzo inopportuno di applicazioni di messaggistica istantanea, divulgando con alcuni genitori informazioni riservate sull’andamento degli alunni, sui criteri di valutazione adottati, nonché sulle osservazioni formulate da una collega, determinando così l’insorgere di spiacevoli lamentele.
Tirando le somme, per i giudici d’Appello, come già per l’istituto scolastico, è emersa l’inadeguatezza della docente rispetto a situazioni peculiari e tipiche del lavoro di insegnamento, quale il saper sollecitare l’attenzione e la curiosità degli allievi, l’originalità delle nozioni che vengono trasmesse, il saper coinvolgere il ‘gruppo classe’ a mezzo di stimoli didattici.
A chiudere il caso provvedono ora i magistrati di Cassazione, respingendo definitivamente le obiezioni sollevate dalla docente e confermando il provvedimento dal dirigente scolastico.
In particolare, la docente ha contestato la valutazione compiuta dai giudici d’Appello, sostenendo che questi ultimi abbiano ritenuto rilevanti e valorizzato, ai fini del giudizio di mancato superamento della prova, elementi secondari, quali quelli relazionali con genitori, colleghi e, parzialmente, con gli studenti, anziché valorizzare quelli primari, costituiti, alla luce del decreto numero 850 del 2015 del Ministero dell’Istruzione, da capacità didattiche, competenze conoscitive e progettuali.
Entrando ancora più nei dettagli, poi, la docente osserva che il decreto ministeriale attribuisce più pregnante e principale valore alla didattica, essendo le difficoltà relazionali secondarie e non decisive ed esterne rispetto alle capacità di insegnamento in senso stretto. Tanto più che le difficoltà relazionali sono state determinate dall’inesperienza e dalla giovane età e, quindi, come tali, sono agevolmente superabili nel tempo.
Per i giudici di Cassazione, però, la visione difensiva proposta dalla docente, e mirata a ridimensionare gli addebiti a lei mossi, è fragile, soprattutto perché tra i fattori suscettibili di valutazione, secondo il decreto ministeriale, vi sono anche le capacità relazionali.
Nello specifico, secondo quanto stabilito col decreto, il periodo di formazione e prova assolve alla finalità di verificare le competenze professionali del docente, osservate nell’azione didattica svolta e nelle attività ad essa preordinate e ad essa strumentali, nonché nell’ambito delle dinamiche organizzative dell’istituzione scolastica. Ancora più in dettaglio, il periodo di formazione e prova è finalizzato specificamente a verificare la padronanza degli standard professionali da parte dei docenti neoassunti con riferimento ai seguenti criteri: corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti; corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente; partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi previsti. E, infine, sono valutate l’attitudine collaborativa nei contesti didattici, progettuali, collegiali, l’interazione con le famiglie e con il personale scolastico, la capacità di affrontare situazioni relazionali complesse e dinamiche interculturali, nonché la partecipazione attiva ed il sostegno ai piani di miglioramento dell’istituzione scolastica.
A fronte di tale quadro normativo, è corretta, sanciscono i magistrati di Cassazione, l’ottica adottata in Appello, ottica secondo cui nelle capacità didattiche – espressione spesa nel senso ampio di idoneità alla funzione di docenza nel suo complesso – da valutarsi rientrano certamente, e con preponderante valore, le potenzialità relazionali, specialmente con gli alunni e con il corpo docente. Ottica, questa, che non presenta alcuna illogicità manifesta in rapporto agli standards di professionalità ragionevolmente richiedibili ad una docente e alla coerenza dei fattori di valutazione con aspetti comunque inerenti la funzione docente e come tali previsti come da valutare nel decreto ministeriale, mentre l’assunto, sostenuto dalla docente, secondo cui gli aspetti propriamente inerenti la capacità di corretta trasmissione delle competenze avrebbe valore primario, al punto da inficiare il fondamento di un recesso che non vi trovi appiglio, oltre a non trovare alcun fondamento esegetico tantomeno decisivo in un dato normativo non contemplante alcun ordine di rilevanza o importanza tra i fattori di valutazione, finisce inammissibilmente col pretendere di condizionare l’ambito di discrezionalità di cui l’amministrazione gode, in termini largamente eccedenti quello della mera necessità che il recesso non sia giustificato da ragioni non coerenti con le finalità del periodo di prova, quali declinate dal decreto ministeriale.

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