Espressioni aspre ed enfatiche contro il dirigente scolastico non bastano per la condanna del dipendente della scuola
Per i giudici non ci sono dubbi: le espressioni utilizzate dal lavoratore sono risultate fondate sulla verità della situazione fattuale e sono assolutamente accettabili. In sostanza, l’esercizio di un acceso diritto di critica non esorbita dalla continenza, se non si tratta di attacchi personali, ma di critiche aspre collocate nel contesto e dunque chiaramente riconducibili alla critica decisa ma corretta
Possibile esercitare, in ambito lavorativo, il diritto di critica in maniera forte, anche con espressioni aspre ed enfatiche, se, però, strettamente funzionali all’espressione di una palese disapprovazione e non tali da concretizzare una gratuita aggressione della reputazione del destinatario. Questa la posizione assunta dai giudici (sentenza 33723 del 5 settembre 2024 della Cassazione), i quali hanno cancellato l’accusa mossa ad un dipendente di una scuola, finito nei guai per avere offeso, comunicando con più persone tramite posta elettronica certifica, l’onore e il decoro personale e professionale del dirigente scolastico, accusandolo, contrariamente al vero, di aver commesso nel suo incarico irregolarità e carenze, e qualificandolo come persona totalmente incapace di predisporre un contratto collettivo nonché di aver svolto le attività inerenti la contrattazione in momenti di sonnolenza. Per i giudici è fondamentale non solo la lettura congiunta di tutti gli scritti ma anche tener presente che il lavoratore chiedeva di avere l’attestazione e la valutazione dell’incarico svolto di cosiddetta “funzione strumentale orientamento in uscita”, che, invece, il dirigente scolastico indicava essere frutto di un errore materiale nella redazione del contratto collettivo. Invece, il lavoratore rivendicava di avere svolto quel ruolo, di esser pronto a citare quali testimoni del suo operato altri docenti, di aver redatto la relazione finale per lo svolgimento di quell’incarico e anche di essere stato pagato per esso. E, in tale contesto, le espressioni incriminate, ossia “la pochezza della giustificazione circa presunti errori materiali nell’assegnazione dell’incarico e l’illazione circa il ruolo del lavoratore come membro della rappresentanza sindacale unitaria sono superate dal dover credere, nel caso, che siamo di fronte a un dirigente scolastico totalmente incapace di predisporre un contratto collettivo integrativo”. Ebbene, secondo i giudici, il lavoratore, con l’espressione incriminata, esprimeva e contestava la palese contraddizione del dirigente, che, al di là della fondatezza o meno della doglianza del professore, è accertata dalla circostanza che il contratto collettivo effettivamente recava l’attribuzione dell’incarico e il relativo compenso. Inoltre, il lavoratore lamenta che, rispetto alla richiesta di attestazione relativa al secondo incarico anche ricoperto, sempre risultante dal contratto collettivo, il dirigente non aveva proprio dato risposta, cosicché, a suo dire, il dirigente scolastico, quando lo ha proposto, negoziato, firmato, inviato ai revisori ed infine regolarmente pagato, ha fatto tutto, probabilmente, sempre in momenti di sonnolenza. Per i giudici non ci sono dubbi: le espressioni utilizzate dal lavoratore sono risultate fondate sulla verità della situazione fattuale e sono assolutamente accettabili. Poiché l’esercizio di un acceso diritto di critica non esorbita dalla continenza, in quanto non si tratta di attacchi personali, ma di critiche aspre collocate nel descritto contesto e dunque chiaramente riconducibili alla critica decisa ma corretta, che, prendendo atto della contraddizione nella risposta del dirigente scolastico (assenza di incarico in presenza del contratto collettivo sottoscritto dal dirigente che attestava il contrario), replica utilizzando una espressione che enfatizza il paradosso – quale è il riferimento all’aver dormito, il dirigente, mentre si sottoscriveva il contratto – che in vero non travalica il limite della continenza.