Salvo il posto di lavoro della dipendente beccata a fare la spesa
Impossibile convalidare gli addebiti mossi alla lavoratrice dall’azienda, in quanto non risulta emerso che le attività da lei compiute ne abbiano ritardato la guarigione

Posto di lavoro salvo per la dipendente che, pur essendo in malattia, è stata beccata a fare la spesa in un mercato rionale della città. Questa la decisione dei giudici (sentenza del 18 dicembre 2024 del Tribunale di Milano), i quali hanno dichiarato nullo il licenziamento deciso dall’azienda e hanno riconosciuto il diritto della lavoratrice ad essere reintegrata ed ad essere risarcita con una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto e calcolata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettivo rientro in azienda. Nello specifico, la condotta ascritta alla lavoratrice, e posta a base del licenziamento, è consistita nell’aver svolto, durante il periodo di congedo per malattia e a distanza di cinque giorni dall’infortunio occorsole, attività dirette a ottemperare interessi personali (cioè effettuare acquisti presso negozi e mercato rionale) e a camminare per lungo tempo al caldo (diciassette minuti di camminata percorrendo circa un chilometro e settecento metri), ponendo così in essere attività idonee, secondo l’azienda, a pregiudicarne la guarigione e a ritardarne il rientro in servizio. La lavoratrice non ha negato di aver compiuto le attività addebitatele, ma si è difesa sostenendo che si è trattato di attività connesse all’acquisto di generi di prima necessità a cui poteva provvedere solo lei, atteso che il marito era allettato a casa a seguito di intervento chirurgico, e che il comportamento censurato era comunque in linea con le prescrizioni mediche e non aveva in alcun modo dilatato i tempi di guarigione. Ma, osservano i giudici, ciò che è stato acquisito al processo è solamente che la lavoratrice aveva compiuto alcuni atti di vita quotidiana, senza però che possa dirsi riscontrato (non potendosi attribuire alcun valore probatorio alle valutazioni fornite dagli investigatori privati incaricati dall’azienda) l’effettivo aggravamento delle condizioni di salute, tenuto peraltro conto che nella relazione investigativa si dà conto che per tutta la giornata la lavoratrice ha indossato una fasciatura bianca ed un tutore scuro. Bisogna poi tenere presente che grava sul datore di lavoro l’onere di provare sia lo svolgimento dell’attività esterna sia le caratteristiche di essa che la rendano illecita. Ma nella lettera di licenziamento la società datrice di lavoro si è limitata ad affermare che le condotte descritte nella relazione investigativa sarebbero di per sé tali da pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio della dipendente, senza però evidenziare gli specifici fattori che ricolleghino causalmente una camminata in piano per diciassette minuti all’asserito ritardo della guarigione né documentare che le proroghe del congedo trovino ragione proprio nelle condotte censurate. Per contro, la lavoratrice ha dato conto di aspetti clinici e fattuali che consentono di inferire che il comportamento sanzionato non sia contrario alle prescrizioni mediche, atteso che, all’epoca, non le sono state impedite né la stazione eretta né la deambulazione, e le è stato applicato un particolare tutore, da lei indossato correttamente anche il giorno oggetto di indagine investigativa. Inoltre, non pare prospettabile, spiegano i giudici, un abuso del congedo, tenuto conto che si tratta di una sola giornata, di un solo spostamento di diciassette minuti in piano e di condotte riconducibili all’acquisto di generi di prima necessità, e non ad attività ludiche o di svago. Inoltre, dalle fotografie riportate nella relazione investigativa emerge che la lavoratrice, nel corso degli acquisti effettuati, si è limitata a camminare senza sottoporsi a particolari sforzi fisici: non ha mai sorretto sacchetti o borse, essendo sempre stata sua madre a condurre il carrello della spesa, e la durata della camminata è risultata di soli diciassette minuti, con frequenti soste in corrispondenza dei negozi o dei banchi del supermercato. E questo dato temporale si appalesa, secondo i giudici, ancora meno significativo se si considera che, nell’arco di una giornata, una madre, con due figli minori e un marito allettato, potrebbe essere costretta a passare anche più tempo a camminare in casa per ottemperare alle faccende domestiche, e non potrebbe essere, per ciò solo, passibile di sanzione disciplinare. Tirando le somme, non pare possibile convalidare gli addebiti mossi alla lavoratrice dall’azienda, in quanto non risulta emerso che le attività da lei compiute ne abbiano ritardato la guarigione. E le condotte addebitate, e riassunte nella relazione investigativa, non possono dirsi per ciò solo idonee ad aggravare la patologia che affliggeva la lavoratrice.