Le rinunce professionali e reddituali della moglie pesano sull’assegno divorzile a lei riconosciuto
Necessario valutare il contributo fornito alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e di quello personale dell’altro coniuge

Per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile, avente natura sia assistenziale che perequativo-compensativa, è necessario valutare non solo l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l’assegno, ma anche il contributo che ha fornito alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dell’altro coniuge. In questa ottica, poi, assume particolare rilevanza il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali compiuto dal coniuge in funzione del progetto di vita comune, specialmente se protratto per un lungo periodo. Tale sacrificio deve essere provato dal coniuge che richiede l’assegno e va considerato in relazione all’età e alle concrete possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro al momento dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Questi i principi fissati dai giudici (ordinanza numero 22479 del 12 agosto 2024 della Cassazione), i quali, ritrovatisi a prendere in esame lo scontro tra due ex coniugi in merito al possibile riconoscimento dell’assegno divorzile in favore della donna, hanno delineato, come fatto anche dai giudici d’Appello, la condotta dei coniugi nel corso della vita matrimoniale, giungendo a riconoscere che è stato proprio il marito ad indurre la moglie a lasciare, all’epoca, la sua attività di parrucchiera per dedicarsi esclusivamente alla crescita dei figli, in tal modo rinunciando a concrete opportunità lavorative e consentendo al marito di dedicarsi appieno allo svolgimento della propria attività, soprattutto di natura imprenditoriale. Ancora più nello specifico, vi è il riferimento al tenore agiato della famiglia garantito soltanto dai redditi dell’uomo, che proprio per questo aveva indotto la moglie a non svolgere più continuativamente la propria attività di parrucchiera. Rilevante, poi, un ulteriore dato: la donna non ha svolto, durante la convivenza matrimoniale, alcuna attività lavorativa, a tanto spinta dal marito che provvedeva a mantenere economicamente la famiglia, e si è dedicata esclusivamente alla cura dei figli ed alle esigenze della famiglia sulla base di una decisione comune dei coniugi, sacrificando le aspettative professionali e ciò per la lunga durata del matrimonio, pari a diciotto anni, uscendo dal mondo del lavoro da tempo, tanto che assai difficilmente potrebbe rientrarvi, avendo raggiunto l’età di 60 anni. Infine, la donna ha anche subito la violenza del marito, tanto che la separazione è stata addebitata all’uomo.